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Gay & Bisex

Ora per Allora


di Membro VIP di Annunci69.it Cafardeux
13.02.2022    |    1.994    |    13 9.7
"Lo so che per te che arriverai a leggere fino a questo punto questo racconto non rientra nei canoni che animano la gran parte dei racconti a sfondo sessuale..."
Avevo da poco terminato una lezione di neurologia.
Viale dell'Università, Viale Ippocrate, Piazzale delle Province, Via della Lega Lombarda fino alla Stazione Tiburtina le avevo percorse in un turbinio di pensieri senza rendermene conto.
L'aria della tarda primavera mi accarezzava la pelle e i rumori della metropoli erano l'unico sottofondo alle mie elucubrazioni.
Al terminal degli autobus destinati alla volta della remota provincia , come d'abitudine, mi recai alle toilette dello snodo ferroviario.
Uscitone, essendo in congruo anticipo rispetto agli orari delle partenze, mi sedetti sul muretto della scalinata che adduceva alla stazione dei convogli della metropolitana.
Osservavo il va e vieni delle persone, il traffico caotico di autoveicoli ad autobus sul piazzale antistante la Stazione Tiburtina, gli storni che colonizzavano gli alberi dello scalo, i palazzi del quartieri che, baciati da un timido sole, assumevano tonalità chiare e riposanti per gli occhi di chi li osservava.
Ero inebriato, quasi dopato, dall'essenza della capitale che per me, provinciale dalla nascita, rappresentava l'evasione dalla vita sobria e controllata della piccola città rurale.
Avevo con me il libro di Neurologia ma non avevo la benché minima voglia di utilizzare quel tempo morto per ripercorrere le complicate vie piramidali ed extrapiramidali per perdermi poi in un mare di sinapsi occupate in quel momento da uno stato di nirvana che mi rendeva un tutt'uno con la natura fisica e quella antropica di Roma capitale.
Fu solo quando mi chiedesti "Sei uno studente della facoltà di Medicina?" che mi resi conto che forse era da lungo tempo che mi stavi osservando.
Mi avevi fatto tornare alla realtà dalla quale, in quel tempo, vieppiù cercavo di allontanarmi.
Ti squadrai rapidissimamente. Pelle scura, capelli neri molto mossi, occhi castano scuro, sguardo vivido, profondo, penetrante.
Eri molto meno alto di me ma più carenato.
Giacca e cravatta ti distanziavano mille anni luce da me in jeans larghi e camicia a quadri vistosi sulle tonalità del rosso e del verde. Le mie "Cult" non erano certo all'altezza dei tuoi mocassini neri, splendenti ed assai eleganti. Io già avevo l'orecchino sul lobo del padiglione dell'orecchio di sinistra e una coda di capelli lunghi fino alle spalle arruffatissimi.
Mi incuriosivi e mi avevi attratto. I tuoi modi gentili ma maschili, la tua voce suadente erano stati un laissez-passer per il mio cuore che era in preda ad una tachicardia emotiva senza pari.
Mi dicesti che eri un medico, che Neurologia era un esame molto importante nel nostro corso di Laurea, che conoscevi diversi docenti che insegnavano nelle due cattedre di quell'ateneo e che , semmai ne avessi avuto bisogno ti saresti prodigato per aiutarmi.
Parlammo poi di mille altre cose e ne fui talmente preso che decisi di rimandare la partenza all'ultima corsa diretta alla mia città. Cercai una cabina telefonica e chiamai i miei genitori per avvertirli che sarei rientrato in ritardo inventando una scusa banale e mi abbandonai completamente alla tua compagnia.
Mi portasti a cena in una trattoria sarda tipica presso Porta Pia e fu li che mettemmo a fuoco i nostri veri interessi, le nostre inclinazioni intuite a senso dal nostro primo sguardo ma non acclarate, le intenzioni presenti e quelle future, le probabili aspettative dell'uno dall'altro.
E stetti magnificamente bene.

Sai ... da quel giorno venni a Roma sempre più frequentemente, più spesso del dovuto nonostante dovessi stringere i tempi per sostenere l'esame di Clinica Neurologia per potermi laureare. Questo solo per stare con te ... E te lo dico ora per allora poiché so che sei qui con me ora e che, nella dimensione in cui abiti, puoi percepire la straordinaria essenza dell'amore che mi lega a Te.

Furono lunghi incontri di carezze e baci, di fiumi travolgenti di parole, di promesse con sigillo di eterno Amore, di sguardi che mettevano a nudo l'intera essenza dell'essere senza privarlo dei suoi indumenti che ne erano corazza, di sentimenti che salivano al cielo commuovendo forse persino l'Eterno.
Sapevi cingere d'assedio il mio cuore con quelle lettere ricche di parole semplici ma al contempo auliche, con quelle tue sintassi spericolate ma essenziali, con quegli ossimori che ferivano e cicatrizzavano la mia sensibilità nutrendola ed elevandola alla sua massima espressione. Ero tuo.

Arrivò il giorno in cui concretizzammo il nostro Amore. Non potevi ospitarmi poiché vivevi a Roma con tuo fratello che ti aveva raggiunto per questioni lavorative dalla Calabria e che, benché avesse intuito la tua omosessualità, non la accettava negandola.
Così ci trovammo in una squallida stanza dell'Hotel diurno che allora era presente nel piano sotterraneo della Stazione Termini e fu proprio li che ci regalammo un pomeriggio di grande abbandono.
Quella stanza mi apparve allora come quella dell'Albergo più stellato al mondo, e quelle pareti nude come la volta del firmamento.
Demmo essenza a tutte le nostre fantasie e ci trovammo all'unisono soddisfatti dalla reciprocità della nostra bisessualità attiva e passiva.
Tu pieno di peli io liscio, tu esperto quarantenne io venticinquenne alle prime armi, tu dolce io irruente, tu accondiscendente io prepotente, tu, tu, mille volte tu in me io in te senza pudori, senza limiti, senza ritegno, senza tempo.
Consumammo passione e orgasmi, ci nutrimmo dei nostri piaceri brindando con i nostri semi, esplorammo le nostre interiorità percependone le mucose, fummo l'uno dell'altro bagnati ovunque dalle nostre salive ... ed arrivammo alle stelle.
Portai quegli odori, quei sapori con me ritornando a casa e non volli lavarmi per custodirli a lungo e riviverne l'immensità.

E poi ... e poi ci vedemmo ancora e fu sempre più bello.
Un giorno mi chiedesti a bruciapelo se ero disposto a vivere con te alla luce del sole, more uxorio. Ne avevi parlato a tuo fratello, a tua sorella che sapeva tutto di te e ti appoggiava, ai tuoi genitori che, messi a alle strette da un lungo operare preparatorio, ci avevano invitato nel cosentino a trascorrere una vacanza ...
Ebbi paura. Si ne ebbi.
Ero avviluppato da mille taboos, soffocato dalle aspettative della mia famiglia cui dovevo gratitudine, reso inerte dal mio background religioso, condizionato dalla grettezza del pensiero provinciale in cui mi relazionavo.

Mi regalasti per la mia laurea una magnifico fermacravatta d'oro e, a latere, una veretta con due diamanti. "La loro lucentezza, i loro bagliori, lo spettro delle luci cui danno origine se baciati dalla luce del sole rappresentano il nostro futuro abbacinate di luminosità e di colori avvolgenti che ci accompagneranno per tutta la vita ... se accetti".

Diradai i nostri incontri. Mi negavo.
L'ultimo giorno che ti vidi fu nel laboratorio della scuola di specializzazione che frequentavo.
Mi portasti un dolce per il quale tu sapevi che impazzivo.
MI dicesti "Sei diventato troppo magro, riguardati" ed andandotene "Ricorda ... Per te ci sono sempre. Io ti aspetto".

Piansi a lungo vedendolo partire. Lo seguì dalla vetrata del laboratorio mentre si allontanava da Piazzale Aldo Moro, sorpassando il CNR, ed imboccando la via che costeggia il Ministero dell'Aeronautica Militare".
Poi non lo vidi più.
Fu una scelta cercare di ambire ad una "vita normale", crearmi una famiglia, avere dei figli, raggiungere una certa posizione sociale. Fu il ritmo di quei tempi, forse non quello che caratterizza quelli odierni.
Fu una situazione comoda, fu la diluizione dell'ansia, il trionfo della ipocrisia, la negazione di sé stesso, il male profondo che tutt'oggi mi divora. Ma fu, sic et simpliciter, tutto questo.


Ero già la caricatura di me stesso plasmato dai diktat della società quando, d'improvviso mi venisti in mente. Era il 2010, 23 anni dopo.
Avevo bisogno di sentirti, di sapere cosa avessi fatto della tua vita.
Da quel giorno di maggio del 1987, in sintonia con il tuo decoro e la tua dignità immensa non mi avevi più cercato ...
Ricordavo il nome di tua sorella e sapevo che era sull'elenco telefonico della città di Roma.
D'impeto mi risolsi a telefonarle.
Mi scoppiava il cuore.
Lei mi rispose e dopo poche parole mi riconobbe.
Senza troppe parafrasi le chiesi se poteva darmi il numero del tuo cellulare.
Ci fu un lungo silenzio. Ebbi l'impressione che fossero trascorse ore ed ore prima che mi rispondesse.
"Non lo hai saputo?" e cominciò a piangere. "Lui non c'è più ..." e come un fiume in piena mi raccontò della malattia che una decina di anni prima lo aveva impietosamente colpito portandoselo via tra atroci dolori e sofferenze".
Non riuscivo più a parlare. Ogni parola moriva prima di essere fonata.
Piangevo disperato, piangevo perdutamente.

Lo so che per te che arriverai a leggere fino a questo punto questo racconto non rientra nei canoni che animano la gran parte dei racconti a sfondo sessuale.
Voglio però dirti che l'amore che si compendia con il sesso, non è solo descrizione di parti genitali, di amplessi nel loro divenire, di situazioni inventate e condizionate dai video che tutti noi visioniamo ... Esso è beatitudine e sofferenza, illusione e disillusione al contempo, rimorso e penitenza, realtà fugace e ricordo indelebile scritto col sangue nel proprio cuore.

A Te, che non ci sei più, voglio dirti che ti sento anche ora che sto scrivendo, che ti amo ora per allora, che riesco a lavare con le mie lagrime questa tastiera solo perché ogni parola spesa per te diviene pesante, che il rimorso non mi abbandona mai, che vorrei che la mia pelle venisse ancora riscaldata da quell'aria tiepida primaverile di Roma metropolitana e dal tuo sguardo penetrante, che a tutt'oggi il tempo crudele non riesce a scolorire il ricordo che ho di Te, che spero di rincontrarti e vivere della tua luce riflessa solo se Dio mi perdonerà per la mia infingardaggine.






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